I tattoo giapponesi sono vere e proprie opere d’arte, ricchi di significato, oggettivamente molto belli tanto quanto dettagliati. Questo livello di dettaglio altissimo è conseguenza proprio della cultura tradizionale giapponese, una cultura in continua ricerca della perfezione e della bellezza che si riflette sull’arte e sui tatuaggi. Scopriamo insieme alcune opere di tattoo giapponesi, la loro storia e i significati che sono nascosti dietro ai tatuaggi giapponesi.
I tattoo giapponesi rispecchiano appieno la cultura nipponica, la ricerca della perfezione, della bellezza; vengono curati in ogni minima parte tutte le caratteristiche del tatuaggio: i colori, il soggetto da rappresentare, i dettagli minimi, le sfumature, la posizione e ultima caratteristica, non per importanza, il significato da trasmettere. I Kara-jishi, ovvero gli abbinamenti che vengono rappresentati sui tatuaggi giapponesi provengono da una cultura classica e rappresentano delle vere e proprie opere d’arte. Ogni soggetto si abbina insieme ad un altro elemento che va a trasmettere un determinato significato (per esempio le maschere han’nya, di cui parleremo in seguito, si accostano ai serpenti oppure ad altri elementi come simboli buddisti).
Ma qual è lo scopo dei tattoo giapponesi? Hanno un duplice compito: il primo è soddisfare un bisogno a livello estetico (ricerca della bellezza e della perfezione), il secondo è trasmettere e veicolare un valore spirituale molto importante, essendo ogni elemento dei tatuaggi giapponesi, ricco di significati, di storie, di racconti che unendosi fra loro donano al tatuaggio una forte dote artistica e soprattutto sociale.
Irezumi: parola formata da “ireru” che significa “inserire” e “sumi” che significa “inchiostro”; questo termine faceva riferimento specialmente a tattoo punitivi, quindi avevano un tratto distintivo negativo. La loro caratteristica principale è quella di ricoprire una grande porzione del proprio corpo, come per esempio: la schiena, i glutei oppure la metà delle cosce. Fonte d’ispirazione principale dei soggetti dei tatuaggi furono i disegni degli abiti tradizionali da cerimonia, da quelli dei samurai o dai disegni dei kimoni;
Horimono: questa invece è formata da “horu” che significa “inscrivere” e “mono” che significa “qualcosa”; questi nascono come vere e proprie decorazioni del proprio corpo e quindi prevalentemente ornamentali.
La storia dei tattoo giapponesi ha un’origine millenaria e molto travagliata, addirittura vi sono delle fonti che indicano che la cultura del tatuaggio sia nata intorno al V millennio a.C. per rappresentare il proprio rango sociale. Nel VII secolo d.C., a causa dell’influenza culturale della Cina i tatuaggi giapponesi diventarono simbolo per i condannati e i criminali. Avendo questa accezione negativa, non divenne più solito mostrarli in pubblico. Tuttavia, alcuni continuarono a tatuarsi in segreto, specialmente gli amanti, riportando o il puntino nero, simbolo di unione intima con l’amata nella “stretta di mano”, oppure era solito tatuarsi i Kishibori, una pratica molto comune che consisteva nell’imprimere sulla propria pelle in una zona del corpo a scelta, il nome dell’amato.
Gli Irezumi riapparvero, dopo moltissimi anni, durante l’era dei Takugawa, tra il XVII e il XIX secolo d.C., detto anche periodo Edo (1603 – 1868). La rinascita della cultura dei tattoo giapponesi, in particolare degli Irezumi, fu dovuta alla pubblicazione di un’opera cinese che aveva come protagonisti le imprese e la vita di un gruppo di briganti (Suikoden) che si distinguevano per avere il corpo tatuato. Le splendide opere d’arte impresse sulla pelle sono dovute alle illustrazioni presenti in questa opera.
Anche gli Horimono hanno avuto momenti di forte diffusione e periodi di illegalità. Quelli che conosciamo oggi, sono nati a cavallo tra l’800 e il ‘900.
I tattoo giapponesi non erano rivolti a persone dell’alta società, anzi, erano soprattutto di moda nei ceti più bassi della popolazione come i mafiosi, i giocatori d’azzardo, le prostitute, oppure in quel segmento di popolazione che svolgeva lavori di fatica, meno intellettuali, come i commercianti.
I tattoo giapponesi tornarono legali nel secondo dopoguerra, ma come in tutto il resto del mondo in quell’epoca venivano visti come segni di appartenenza ad attività illegali o visti semplicemente come immorali. Per questo molto spesso chi mostra tatuaggi in pubblico, ancora oggi in Giappone, è visto ancora con molta diffidenza. Ma questa ostilità nei confronti dei tattoo giapponesi è più caratteristica delle vecchie generazioni, ancorate alla vecchia e negativa accezione che trasmettevano nel passato.
Possiamo vedere insieme qui di seguito alcuni elementi dei tattoo giapponesi più comuni con qualche accenno a riguardo:
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